Maria Pia Farinella
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El mar, la mar, come nei versi del poeta andaluso Rafael Alberti. L’aveva nelle vene il mare, Joaquín Sorolla, pittore della Spagna più luminosa e mediterranea. Nato a Valencia nel 1863, fu considerato un autentico innovatore della luce e del colore e un protagonista assoluto della scena artistica della sua epoca. Viaggiò di continuo. Soprattutto in Italia, Francia, Inghilterra. E per tutta la Spagna, instancabile promotore di se stesso. Partecipò all’Esposizione universale di Parigi del 1900 e ad altre manifestazioni internazionali, ottenendo un successo senza uguali. Di qua e di là dell’oceano.
Nato povero, guadagnò moltissimo. Gli Stati Uniti, dove espose a New York, Chicago, Saint Louis, San Diego, contribuirono non poco alla sua fortuna. La potente Hispanic Society of America, dopo avere organizzato per lui due mostre itineranti nel 1909 e nel 1911 e aver contato 160 mila visitatori solo in un mese del 1909, lo incaricò di dipingere la sua Visión de España,quattordici quadri alti più di tre metri ciascuno che raffigurano la diversità delle “Spagne” e la vita delle sue genti.
La obra maestra di Sorolla, un vero e proprio monumento alla Hispanidad, fu inaugurata a Manhattan nel 1926, tre anni dopo la morte del pittore. Nel 2006 i dipinti vennero staccati dalla pareti della Hispanic Society per essere restaurati. Con l’occasione vennero spediti in Spagna tra il 2007 e il 2010 per un’esposizione che toccò Valencia, Siviglia, Malaga, Bilbao, Barcellona fino a concludersi al Museo del Prado di Madrid. Con un tale consenso di pubblico da essere considerata in Spagna la mostra più visitata di tutti i tempi.
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Basta e avanza per capire che soprattutto nei paesi di lingua spagnola Sorolla abita l’empireo della pittura. Quest’anno in cui ricorre il centenario della morte è stato designato come Año Sorolla. Con un’infinità di omaggi. La mostra “Sorolla a través de la luz”, appena conclusa al Palazzo Reale di Madrid con più di 180.000 visitatori, si è trasferita alla Fundación Bancaja di Valencia dove rimarrà fino al 18 febbraio 2024. Sempre a Madrid fino al 7 gennaio alla Fundación MAPFRE si possono ammirare Los veranos de Sorolla, il cuore dell’artista che amava “intingere il colore nel sole”, secondo la sua stessa definizione. Barcellona, Bilbao, Burgos, Toledo, perfino le Asturie. Dovunque in Spagna si possono percorrere le tracce di Sorolla.
Oltreoceano a Cuba, al Museo de Bellas Artes de La Habana, fino al prossimo gennaio sono esposti trenta grandi dipinti, patrimonio nazionale del paese che fino al 1898 fu “gioiello” della corona spagnola. Al 1894 risale il primo incarico “cubano” rivolto a Sorolla con il Retrato de la Marquesa de Balboa. Fu il primo di una serie di ritratti realizzati per l’aristocrazia coloniale ispanoamericana, legata da vincoli stretti alla madrepatria. Al Meadows Museum di Dallas negli Stati Uniti, sempre fino a gennaio, si può visitare Sorolla en colecciones americanas in una mostra intitolata Luz de España.
Ma è Valencia, la città di mare e giardini di cui il pittore respirò l’aria da bambino e a cui si ispirò tutta la vita, che gli offre il tributo più grande. Non solo mostre, sette solo in questo Año Sorolla. Ma anche un vino della sua terra, tre bottiglie in edizione limitata, monete da collezione, francobolli, un annullo postale.
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In Italia, dopo la grande mostra al Palazzo reale di Milano nel 2022 Joaquín Sorolla “Pittore di luce” è una riscoperta. Anzi, un ritorno. Avvenuto proprio nella sede della Real Academia de España a Roma che ospitò l’artista quando era poco più che ventenne, dal 1885 al 1889. Allora Sorolla era un pensionado, un giovane di precoce talento che aveva già dipinto quadri di successo e aveva meritato una pensión, cioè una borsa di studio, stanziata come contributo alla sua formazione dalla Diputación di Valencia, il governo provinciale valenciano.
Così quest’anno l’Accademia di Spagna gli ha dedicato “Sprazzi di luce e di colore”, 250 opere in esposizione per la prima volta a Roma nel luogo dove Sorolla visse. Si tratta dell’ex monastero di San Pietro in Montorio al Gianicolo, parte del complesso monumentale voluto dai Re cattolici, Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia sul colle che domina una delle migliori vedute su Roma.
Proprio grazie alla pensión romana che Joaquín Sorolla poté approfondire i temi della classicità attraverso monumenti e paesaggi. O attraverso le tertulias, conversazioni e frequentazioni di luoghi simbolo dell’arte a cavallo tra Ottocento e Novecento come il Caffe Greco di via Condotti o i circoli culturali di via Margutta. Poté viaggiare per l’Italia da Nord a Sud, soggiornare ad Assisi con la moglie Clotilde García del Castillo appena sposata, visitare Firenze, Pisa, Venezia e Napoli. Perfino spingersi per qualche mese fino a Parigi dove entrò in contatto con gli Impressionisti di cui amò subito il racconto della realtà senza infingimenti, la rappresentazione della modernità, inclusa l’ascesa della nascente borghesia e la villeggiatura al mare come stile di vita.
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Accettò subito la sfida. Lui, nato con il Mediterraneo all’orizzonte, vissuto nel meriggio assolato del Levante spagnolo. Ecco la sua specialissima pittura vestita di luce, dipinta con pennellate fluide e veloci. Non del tutto impressionista, non del tutto luminista. Eppure figlia del suo tempo, della stagione struggente della Bella Époque.
E’ il candore delle vesti di donne affusolate, la moglie Clotilde e la figlia Maria, che passeggiano sulla riva del mare, i cappelli di paglia a larghe tese trattenuti dal vento. Sono i bambini nudi a pancia in giù che si trastullano sul bagnasciuga e lasciano trapelare il piacere di farsi lambire da onde che vanno e vengono, morbide. O quelli che nuotano, lucidi d’acqua, in trasparenze verdi, azzurre, talvolta violette. Un effetto incredibilmente realistico. Proprio per quel viola che Sorolla considerava “l’unica scoperta importante nell’arte dopo Velázquez”.
Chissà cosa ricordava della sua infanzia sulla riva del mare, Joaquín Sorolla. Certo, abbiamo una rappresentazione dell’arte della villeggiatura com’era più di un secolo fa. Le donne e le bambine che indossano lunghi abiti impalpabili per bagnarsi. I bambini nudi e puri. Talvolta mentre giocano con barchette a vela, talvolta mentre conducono cavalli bianchi sulla spiaggia. Gli uomini non compaiono mai come bagnanti. Restano all’ombra, forse a leggere o fotografare. Distanti. Se si avvicinano al mare sono pescatori o barcaioli.
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“Non c’è niente di più vero della verità. Tutti gli errori commessi dai grandi artisti sono dovuti al loro essersi separati dalla verità, credendo che la loro immaginazione potesse essere più forte”, amava ripetere Sorolla.
A documentare questa vocazione, che lui definiva come “ambizione di creare quadri onesti” che riflettessero la realtà “come è veramente”, ci sono centinaia di opere di piccolo formato. Come quelle esposte a Roma. Non a caso tutte provenienti dal Museo Sorolla di Madrid, la casa-atelier dell’artista al numero 37 del Paseo Martínez Campos, a due passi dalla Castellana, dove nel 1911 andò a vivere con la moglie Clotilde, donna simbolo di eleganza borghese e musa ispiratrice di tutta una vita, e con i loro tre figli.
Queste tavolette o dipinti a olio su cartone testimoniano la necessità di Sorolla di dipingere en plein air per cogliere qualsiasi sfumatura di luce, Le dimensioni delle tavole e delle tele gli permettevamo di trasportarle con facilità insieme con pennelli, tavolozze, tubetti di tinte. Sorolla le considerava “appunti”. Opere intime, talvolta non finite, che fissavano “la forza della natura”, la necessità di avere “la natura di fronte per potere dipingere bene”. Non bozzetti veri e propri, ma annotazioni visive che servivano a realizzare dipinti di più grandi dimensioni proprio perché contenevano la verità dell’attimo fuggente, così come l’artista l’aveva visto e vissuto, le impressioni, le emozioni provate. Tornato a casa Sorolla appendeva con spilli nello studio queste “note” che sono l’estrema sintesi della sua pittura. Poi cominciò anche a incorniciarle. Tappezzava intere pareti.
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Ancora oggi Casa Sorolla a Madrid, donata allo Stato per volontà di Doña Clotilde rimasta vedova nel 1923, è integra. Tale e quale a come i Sorolla la lasciarono. Forse la casa d’artista “più completa e meglio conservata d’Europa”, come sottolineano le guide locali. Divenuta Fondazione, Museo statale e Monumento storico di interesse nazionale, contiene la più vasta collezione di opere del pittore. Un patrimonio incrementato grazie al lascito dell’unico figlio maschio di Sorolla morto nel 1948.
E’ una palazzina liberty con giardino e patio andalusi, un po’ sommersa dai condomini che oggi la circondano. Un’edilizia solida e borghese che negli ultimi decenni ha pian piano sostituito la grazia “modernista” delle ville dell’inizio del secolo scorso, quando il quartiere castizo, cioè “autenticamente spagnolo” di Chamberí a Madrid divenne meta preferita di intellettuali e artisti che vi costruirono residenze circondate di verde, concepite proprio come oasi in città.
Sorolla, reduce dal successo delle rassegne personali negli Stati Uniti e dalla commessa della Hispanic Society di New York, ideò la casa a sua immagine e somiglianza. Aveva traslocato tante volte nella vita da sapere perfettamente cosa serviva a lui e alla famiglia, come dividere gli spazi privati da quelli pubblici e dallo studio vero e proprio. “Per questo intervenne attivamente nel progetto dell’architetto, il famoso Enrique Repullés y Vargas, accademico e autore di edifici pubblici come la Borsa di Madrid”, dice la curatrice del Museo Sorolla, Almudena Hernández de La Torre Chicote.
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Il giardino è il luogo dell’anima. Con gli aranci e le fontane decorate di azulejos, le maioliche così tipiche dell’Andalusia, la regione che forse più affascinò Sorolla alla ricerca della sua Visión de España. L’Alhambra, il Generalife di Granada, l’Alcazar di Siviglia.
Il giardino come fonte di ispirazione della pittura dell’età matura e come rifugio dell’intimità familiare, ristoro dai rumori del mondo. E’ onnipresente, visibile da qualsiasi angolo della casa, dalla sale rosso pompeiano con il pavimento di legno, il più comune da sempre a Madrid, e dal grande salone chiaro in marmo progettato per la vita di società. Ovunque, ovviamente, i dipinti di Sorolla. La natura, i fiori, il mare. Ma anche i ritratti, la moglie Clotilde seduta su un sofà giallo, i figli con le due ragazze vestite uguali, l’autoritratto.
I ritratti contribuirono a rendere Sorolla celeberrimo in vita. Fino a dipingere con abiti da ussaro Alfonso XIII, l’ultimo re di Spagna prima della Seconda repubblica e della Guerra civile.
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Sul verde del giardino e sui giochi d’acqua si apre il Patio andaluz con le gallerie dedicate alle collezioni di ceramica, tributo alle tradizioni, agli usi e ai costumi delle regioni della Spagna. Tutta la casa rimanda al gusto per l’eclettismo e per il collezionismo tipico dell’epoca.
Ma ciò che più stupisce del Museo Sorolla è il pellegrinaggio degli spagnoli. Nei fine settimana si mettono in fila a centinaia per visitare il luogo più rappresentativo della vita e dell’opera del “maestro della luce”.
Una spiegazione di questo fervore popolare la offre lo storico dell’arte Carlos Reyero in un saggio pubblicato lo scorso febbraio dalla Editorial Cátedra col titolo: “Sorolla o la pintura como felicidad”. Il libro di Reyero parte da una constatazione: i dipinti d Sorolla hanno un influsso benefico su chi li osserva, come se ispirassero uno sguardo più positivo e ottimista sugli accadimenti della vita. Da qui “dieci lezioni di felicità” che offrono altrettanti punti di vista su Sorolla, talvolta trasversali, e rispondono alla domanda principe: “Si può imparare a essere felici attraverso l’arte?”.
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Perché Joaquín Sorolla non dovette essere un bambino spensierato. Rimasto orfano a due anni a causa del colera che imperversava in Spagna, venne allevato da una zia materna assieme alla sorellina Concha di un anno più piccola. Gli piaceva disegnare. Ma a 13 anni, dopo le scuole medie, dovette iniziare ad aiutare lo zio fabbro. E solo dopo aver finito di lavorare nella bottega di famiglia, poteva frequentare una scuola serale di disegno per artigiani.
Doveva avere una gran fiducia in se stesso e una grande ambizione per proseguire gli studi alla Scuola superiore di Belle arti di San Carlo a Valencia mentre continuava a lavorare da apprendista fabbro.
Passo dopo passo si sa tutto sulla parabola della sua vita. Todo sobre Sorolla, il pittore della gioia di vivere che “aveva orrore delle tenebre” e sapeva dipingere la luce senza ombre. Soprattutto senza sforzo, come fosse la cosa più naturale del mondo. Apparentemente.
“La vida no siempre es fiesta”, scrive Reyero. Avanzando il dubbio che uno dei maggiori successi di Sorolla sia stato quello di convincere tutti dell’esistenza di gente felice in luoghi felici e del suo proprio, personale appagamento. Che l’arte sia un’illusione anche quando dipinge il vero? La risposta la dà lo stesso Sorolla: “Si può essere felici solo se pittori”.
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